marsiglia

marsiglia.
l’ho vista dall’aereo, ma con quei palazzoni che sembrano la periferia di genova ho pensato “no, non è lei”.
mi sono arresa all’evidenza (i palazzoni sono marsiglia) quando siamo arrivate in città con il bus, i palazzoni erano lì, e quella lì era marsiglia.
è strano arrivare in aereo e sbarcare alla Gare Saint Charles, la stazione dei treni.
da lì a piedi, zaini in spalla, ci siamo dirette verso l’albergo, prima tappa l’ufficio del turismo, La Canabiere 8. proprio davanti al vieux port (ma senza arrivare a guardare il mare, senza sfiorarlo con lo sguardo, perché questa è cosa che merita più attenzione di quella che possiamo dargli ora, stanche del viaggio, della levataccia mattutina e della passeggiata a piedi).
hotel premiere class, rue Lafon 13, che sulla mappa non è segnata, ma è una traversa di rue Roma.
camminiamo, donne in chador che non vogliono farsi fotografare, uomini in scarpe da ginnastica americane, bambini come in ogni città del mondo, belli, allegri, in lacrime.
a marsiglia i bambini giocano a calcio per strada.
a roma non ne vedevo da anni, dagli anni della mia infanzia e già allora era un’eccezione, c’è sempre stato un campetto ad accoglierci, un prato…
D invece mi dice che a palermo e a napoli è ancora frequente vedere squadre di bambini che giocano tra le macchine.
a marsiglia ogni piazza è un campo di calcio
ogni palo il limite di una porta
ogni bambino ha una palla da rincorrere
non starò a fare il resoconto preciso di due giornate strane e allegre, puzzolenti (finalmente abbiamo mangiato l’aioli e i risultati sono evidenti, potremmo uccidere un T-Rex con uno sbadiglio!) e faticose (soprattutto per me, che covavo una bella bronchite e sono andata seminando microbi per tutta la città).
rue de petit puits e rue du panier, la città vecchia, le due cattedrali, l’abbaye saint victor (forse l’unica chiesa veramente antica di marsiglia, e così mi sovviene quanto sia difficile, in francia, riconoscere l’antico autentico dall’antico ricostruito nell’ottocento), notre dame de la garde, arroccata su un cucuzzolo, con quella madonna propositata, enorme, esagerata e tutta d’oro, la gita in barca verso l’ile frioul e l’ile d’if (al cui chateau d’if dumas s’ispirò per il conte di montecristo).
marsiglia è una città strana, che è così cosmopolita che quasi non sembra più cosmopolita, sembra solo una città come dovrebbe essere.
marsiglia è colorata, per interi quartieri le case sono coperte di graffiti, belli, colorati, allegri, e ci sono piazzette con case bianche dalle persiane azzurre.
marsiglia è piena del rumore d’acqua che fanno le fontane, non le fontane monumentali del cinquecento romano, ma fontane più cittadine, come laghetti artificiali alcune e come cascate naturali altre.
marsiglia è la città più sporca che io abbia mai visto, in cui la spazzatura sta per strada come se fosse l’unico posto in cui stare.
marsiglia è la città in cui uomini semplici, immigrati, ti traducono in un inglese migliore del tuo quello che francesi indisponenti si ostinano a dirti nell’unica lingua che vogliono parlare.
passeggiare due giorni per le strade percorse da Izzo, per le strade protagoniste delle sue storie è stato facile, quando arrivi a marsiglia dopo i suoi romanzi è come andare in un posto che conosci già. c’era lole nelle donne colorate, manu e ugo nei bambini con il pallone e leila nelle belle e giovani donne nordafricane dallo sguardo dolce.
e poi c’era la musica, in ogni angolo la musica di marsiglia, questo miscuglio di musiche di ogni luogo, a fare da colonna sonora alle nostre due giornate.