34di52 – A oriente del giardino dell’Eden, di Israel Joshua Singer

La solita storia di un ebreo povero e derelitto, raccontata da uno scrittore ebreo, con tutta la tristezza e la malinconia di cui sono capaci gli scrittori ebrei. Che fanno a gara con i registi ebrei a mostrare i panni sporchi della loro gente in piazza.
È così?
Ma sì, in fondo non è altro che quello che ho detto: una storia triste con un protagonista ebreo.
Eppure no.
La vita di Nachman Ritter, figlio di Mattes la lepre, Mattes l’ambulante, è una parabola.
La parabola delle illusioni spezzate, della sorte che si accanisce contro i più miseri, i più poveri, gli ultimi.
L’illusione di Mattes di una vita religiosa si infrange quando il suo unico figlio è costretto a lavorare come fornaio invece di studiare da rabbino e quando in guerra il suo corpo viene gettato in una fossa comune con i “gentili” invece che in un cimitero ebraico.
L’illusione di Sheindel di una vita migliore a Varsavia si infrange nel dare alla vita un figlio dai capelli rossi, bastardo.
L’illusione di Reisele si infrange in una cella di prigione, dalla quale usce prostituta.
L’illusione di Nachman si infrange in Russia, il grande paese a Oriente in cui i lavoratori hanno conquistato il loro tempo e scacciato via i padroni.
L’illusione di Hanna di infrange davanti a una tenda fatta con un lenzuolo.
Niente va come dovrebbe andare se il mondo fosse giusto, se ci fosse per davvero, a oriente, un Dio a controllare le cose.
Ma Israel Singer non dimentica mai che il suo lettore non uscirebbe vivo dal suo romanzo se non fosse sostenuto nella lettura da una costante ironia. Una ironia lieve, appen un velo di sorriso, che è soprattutto motivato dalla consapevolezza che tali sfortune non stanno capitando a noi che leggiamo.
E Israel Singer non dimentica mai di accarezzarci l’anima con splendide descrizioni, grazie alla quali ci sembra proprio di essere lì, nel gelo dell’inverno polacco, sferzati dal vento o in una vetusta caserma trasformata in dormitorio alla periferia di Mosca.