42di52 – Il canto della pianura, di Kent Haruf

Mi succede sempre più raramente di non riuscire a posare il libro la sera, di fare nottata per “sapere come va a finire”, perché di solito sono troppo stanca.
Ma ieri sera il libro non sono riuscita a posarlo fino a ben oltre l’una di notte, fino all’ultima pagina.
Ero di nuovo a Holt, la cittadina alla periferia di Denver, dove si svolge la storia raccontata da Kent Haruf in Il canto della pianura.
La prima parte della trilogia di cui ho già letto il secondo volume, Crepuscolo, e di cui ho già iniziato, stamattina in metro, il terzo, Benedizione.
Il motivo del grandissimo fascino che questa storia esercita su di me non riesco quasi a spiegarlo: Haruf racconta una storia semplice, normale e quotidiana. Descrive la vita con particolari di nessuna importanza, con precisione topografica ci porta in giro per le strade di Holt, ci mostra chi vive, chi muore, chi nasce a Holt, il passare lento dei mesi invernali, la rinascita della natura a primavera.
Siamo con Victoria mentre da alla luce la sua bambina e con Ike e Bobby alla prese con un ottuso gradasso attaccabrighe e mentre assistono alla morte del loro cavallo, siamo con i fratelli McPheron mentre danno da mangiare alle bestie e si preoccupano della giovane donna che è affidata loro.
Siamo lì, con loro, guardiamo con loro fuori da finestre e finestrini d’auto verso la pianura piatta e desolata.
Questo è il segreto di Kent Haruf, la sua capacità di farci vivere a Holt.