Umberto Eco, Le bustine di Minerva

So bene che si tratta di un post molto lungo, ma ho voluto trascrivere per intero una delle famose Bustine di Umberto Eco, nella quale si parla del nostro lavoro, quello di editor, con una competenza e una precisione che rinfranca chi, come me, ama questo lavoro e ne riconosce l’importanza.

L’arte dell’editing (e cioè la capacità di controllare e ricontrollare un testo in modo che non contenga, o contenga entro limiti sopportabili, errori di contenuto, di trascrizione grafica o di traduzione, là dove neppure l’autore se ne sarebbe accorto) versa in cattive acque.

È uscita mesi fa la traduzione francese di un mio libro sull’estetica medievale, e subito un lettore minuzioso mi ha scritto che a un certo punti, parlando della simbologia del numero cinque, cito le cinque piaghe d’Egitto, che invece sono notoriamente dieci. Mi sono stupito, perché ricordavo di avere citato direttamente da una fonte originale: sono andato a vedere sull’edizione italiana e ho scoperto che nominavo, sì, cinque piaghe, ma non l’Egitto. La fonte alludeva infatti alle cinque piaghe del Signore (mani, piedi e costato). Il traduttore, forse per automatismo, ci aveva aggiunto l’Egitto. Io avevo controllato la traduzione, ma la cosa mi era sfuggita: forse leggendo in fretta il brano mi suonava stilisticamente bene, oppure avevo appena corretto una imprecisione alla riga sopra e la mia attenzione si era allentata per le due righe successive.

Stabiliamo un dogma: l’autore, che nello scrivere o nel rileggere segue l’andamento concettuale del testo, è la persona meno adatta ad accorgersi dei propri errori. Nel mio caso d’Egitto c’erano solo due persone che avrebbero dovuto aver eun sospetto uno era il correttore (ma non vi era obbligato), l’altra era appunto il redattore, che avrebbe dovuto, per ogni rinvio, citazione, nome appena appena inusuale. Controllare su qualche enciclopedia. In teoria il bravo redattore dovrebbe controllare tutto: anche se il testo dice che l’Italia sta a Nord della Tunisia dovrebbe dare un’occhiata all’atlante: vale anche per Modica?

Questo mestiere è ormai in crisi e non solo nelle case editrici. Ho sott’occhio due libri, pubblicati da due grandi editori. Nella traduzione dall’inglese di un’opera divulgativa di storia mi si dice che due grandi filosofi arabi dominarono il Medio Evo: Avicenna e Ibn Sina. Si dà il caso (noto a molti) che Avicenna e Ibn Sina siano la stessa persona (come Cassius Clay e Muhammad Alì). Sbagliava già l’autore originale? Il traduttore ha confuso un and con un or? È successo un pasticcio in bozze dove è saltata una riga o una parentesi esplicativa? Mistero. Fatto sta che un redattore, anche se non sapeva nulla di Avicenna, avrebbe dovuto controllare su un’enciclopedia se i due nomi erano giusti, e si sarebbe reso conto dell’errore.

In un altro libro, tradotto da tedesco, trovo anzitutto nominato un certo “Symeon Stylites” che è evidentemente san Simeone lo stilita, e pazienza. Ma poi trovo “Giovanni il Battezzatore”. I tedeschi infatti chiamano “Johannes der Täufer” quello che per noi è Giovanni Battista. Il traduttore sapeva in tedesco ma in vita sua non era mai venuto in contatto non dico coi Vangeli ma almeno con qualche calendario o qualche testo per bambini che parla di Gesù. Mi pare straordinario, anche se fosse sempre cresciuto in una famiglia buddista. Ma qui pare che buddisti fossero anche il correttore (cui sarebbe dovuta sorgere qualche perplessità) e soprattutto il redattore. Se non fosse per il fatto ceh in questo caso il redattore evidentemente non c’era, qualcuno ha comprato il libro, l’ha dato a tradurre, ha inviato il manoscritto direttamente in stampa e via.

Se mandate un manoscritto a una University Press americana, ci vogliono due anni prima che esca. In questi due anni fanno composizione ed editing, qualche stupidaggine ci scappa lo stesso, ma meno che da noi. Questi due anni di lavoro costano. Se si vuole essere presenti sul mercato con libri cotti e mangiati, non ci si può permettere di pagare un editor degno di questo nome, e il mestiere muore.

Se a correggere bene una riga si finisce di passar sopra alla seguente, se l’autore può sbagliarsi più degli altri, se un redattore può non saper nulla di Avicenna, il manoscritto e le bozze dovrebbero essere riletti da molte persone con curiosità e competenze diverse. Questo poteva ancora accadere nelle case editrici a struttura familiare, dove amorevolmente un testo veniva discusso in ogni fase da più collaboratori, ma difficilmente può accadere in una grande azienda dove tutto procede a catena di montaggio. Nuovi sbocchi professionali si offrono quindi a chi faccia sorgere studi specializzati nell’editing, a cui il libro venga dato in appalto, e dove sia seguito con passione parola per parola.

tratto da: Umberto Eco, La Bustina di Minerva, Bompiani 2001, pp. 273-274