Amado mio, di P. P. Pasolini
Amado mio, come la canzone cantata da Rita Hayworth in Gilda.
Io ora l’ascolto nella versione di Carmen Consoli.
Tante cose tornano o ritornano, come se girassero in tondo.
Il secondo dei due racconti, quello che dà il nome al libro, è breve, conciso, nel numero di pagine, nello stile e nel tempo narrato (i pochi mesi, forse solo qualche settimana, dell’estate di due giovani nelle campagne del Friuli).
Del primo sembra l’elaborazione successiva, il fratello maggiore.
Il primo è ancora una bozza (all’origine la precarietà doveva sentirsi ancora di più, con l’indecisione, rimossa dal curatore, tra la prima e la terza persona narrante) in cui né i tempi né i nomi dei luoghi e dei personaggi sono definitivi, in cui alcuni episodi sono accennati, sembrano tendere verso elaborazioni più complesse e invece poi muoiono, si perdono, restano indietro, dimenticati.
Le storie però sono simili, l’amore di un ragazzo per un ragazzino, l’iniziazione morosa e sessuale del più piccolo a opera del più grande. Ho letto questo libro con apprensione e qualche dubbio (morale?). Ora proseguo nella scoperta del più grande scrittore italiano del ‘900. Mi aspetta Il sogno di una cosa, prima del definitivo salto verso i capolavori.